Nel diritto di famiglia, la separazione personale dei coniugi può essere accompagnata da una pronuncia di addebito nei confronti del coniuge la cui condotta ha violato i doveri matrimoniali, rendendo intollerabile la prosecuzione della convivenza. L’art. 151 c.c., nel secondo comma, prevede che tale pronuncia comporti specifiche conseguenze, anche sul piano economico, come l’esclusione dall’assegno di mantenimento. La recente sentenza n. 415/2025 della Corte d’Appello di Bari interviene proprio su questo punto, accogliendo in parte l’appello proposto da una donna che lamentava la sottovalutazione, in primo grado, delle violenze subite dal marito.

Il provvedimento si inserisce nel solco di una giurisprudenza sempre più attenta alla rilevanza delle condotte violente, anche se non reiterate, nell’ambito della crisi coniugale. Un singolo episodio di violenza fisica, se provato e non provocato, può costituire motivo sufficiente per la dichiarazione di addebito, indipendentemente dalla presenza di una condotta colpevole dell’altro coniuge.
La vicenda processuale e i motivi di appello
La sentenza del Tribunale aveva rigettato la domanda di addebito avanzata dalla moglie, ritenendo non sufficientemente provati gli episodi di violenza. In particolare, si riteneva l’aggressione del 2001 troppo remota nel tempo e si dava scarso peso all’episodio del 2018, valorizzando l’archiviazione del procedimento penale e la querela incrociata tra le parti. Inoltre, veniva confermata la misura dell’assegno di mantenimento in favore della donna, fissata in Euro 600 mensili, senza rivalutazione rispetto al mutato contesto economico.
In appello, la donna contestava la ricostruzione dei fatti e chiedeva non solo l’addebito della separazione all’ex coniuge, ma anche l’aumento dell’assegno mensile. Secondo l’appellante, i referti medici, le fotografie e i certificati specialistici avrebbero dovuto essere considerati prove univoche delle violenze, rese ancora più gravi dal fatto che si erano protratte nel tempo e avevano richiesto un intervento di protezione da parte del giudice civile.
La rilevanza delle prove documentali nella decisione della Corte
La Corte d’Appello ha dato centralità agli elementi documentali che il Tribunale aveva, a suo avviso, analizzato in modo frammentario. Tra questi: il referto del pronto soccorso del 2001 attestante una ferita lacero-contusa al volto e un trauma cranico; le fotografie che ritraevano lesioni compatibili con le dichiarazioni della vittima; il referto del 2018 che indicava escoriazioni e dolori cervicali a seguito di un’altra aggressione; nonché la certificazione del medico neurologo che, nel 2019, diagnosticava uno stato depressivo collegato a una lunga esposizione a violenza domestica.
Tali elementi, valutati nel loro insieme, sono stati considerati idonei a dimostrare non solo l’esistenza di una condotta violenta, ma anche la sua incidenza diretta sulla rottura dell’unione. Secondo la Corte, non è necessaria la pluralità degli episodi, né il nesso temporale con l’avvio della crisi coniugale, per configurare l’addebito: è sufficiente che la condotta sia grave e contraria ai doveri di assistenza morale e materiale.
La giurisprudenza della Cassazione su violenza e addebito
La Corte d’Appello si è richiamata espressamente alla giurisprudenza di legittimità che, da anni, sottolinea come le violenze fisiche costituiscano una violazione particolarmente grave dei doveri matrimoniali. In particolare, si cita l’ordinanza n. 5171/2024 della Cassazione, secondo cui l’episodio di percosse, anche se isolato, giustifica l’addebito, rendendo irrilevante il comportamento successivo o concorrente dell’altro coniuge.
In altre parole, non è richiesta una valutazione comparativa delle colpe: la violenza, in quanto tale, è inaccettabile e sufficiente a fondare l’addebito. Questo orientamento tutela l’integrità fisica e psicologica del coniuge vittima, rafforzando la funzione protettiva del diritto di famiglia e il suo legame con i principi costituzionali di dignità e solidarietà.
Conseguenze economiche e ricalcolo dell’assegno di mantenimento
Accertato l’addebito, la Corte ha proceduto a rideterminare anche l’assegno di mantenimento in favore della donna. La nuova misura, fissata in Euro 800 mensili, è stata giustificata dalla differenza tra i redditi dei due coniugi, dal canone di locazione sostenuto dall’appellante e dalla cessazione dell’obbligo dell’ex marito di mantenere il figlio ormai trentenne.
La Corte ha osservato che, pur in assenza di una quantificazione esatta dei redditi, era possibile ricostruire la capacità economica delle parti attraverso i cedolini di pensione, la documentazione bancaria e le spese correnti. Inoltre, è stato evidenziato che il coniuge obbligato aveva terminato di rimborsare un prestito personale e che la sua situazione economica, pur segnata da una recente malattia, rimaneva stabile grazie al trattamento di fine servizio e alla pensione percepita.
Il ricalcolo dell’assegno si è basato, come prevede l’art. 156 c.c., non solo sui redditi, ma anche sul tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, in quanto la separazione, diversamente dal divorzio, non scioglie il vincolo coniugale. La sentenza valorizza quindi un approccio equilibrato, che tiene conto della tutela del coniuge più debole senza trascurare le esigenze concrete del debitore.