Con l’ordinanza n. 3354/2025, la Corte di Cassazione affronta un tema ricorrente nel contenzioso familiare: il diritto all’assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole. La questione, tutt’altro che scontata, è analizzata con un approccio pragmatico e rigoroso: non basta invocare la disparità economica per ottenere un assegno, occorre dimostrare di non essere in grado – per cause oggettive – di mantenersi da soli, e di aver fatto tutto il possibile per diventare autonomi.
Vediamo, allora, i principali punti giuridici emersi dalla pronuncia e le implicazioni pratiche per chi affronta una separazione.

Il mantenimento non è automatico: va dimostrata l’impossibilità di autosufficienza
L’art. 156 c.c. prevede la possibilità per il coniuge economicamente più debole di chiedere un assegno di mantenimento. Tuttavia, la Cassazione ribadisce un principio centrale: il diritto all’assegno non è automatico. È necessario che il richiedente dimostri di non essere in grado di mantenersi da solo e, soprattutto, di aver cercato concretamente di farlo. In mancanza di queste prove, il giudice non può riconoscere il mantenimento come forma di sostegno incondizionato.
Esempio pratico: un coniuge che, pur abile al lavoro e in età lavorativa, non si attiva nella ricerca di un impiego o rifiuta opportunità congrue, rischia di vedersi respinta la richiesta di assegno.
Il rifiuto ingiustificato di un lavoro può far perdere il diritto
Nel caso analizzato, la parte richiedente aveva rifiutato un’offerta di lavoro senza fornire spiegazioni plausibili, sostenendo generiche difficoltà personali. La Corte ha ritenuto che tale comportamento configuri un mancato adempimento al dovere di attivarsi per raggiungere l’autonomia economica. Il diritto al mantenimento post-separazione, infatti, non può trasformarsi in una forma passiva di assistenza economica, a prescindere dall’atteggiamento del beneficiario.
Esempio pratico: il rifiuto di un impiego part-time compatibile con le capacità personali, in assenza di figli o impedimenti oggettivi, può incidere negativamente sulla valutazione del giudice.
La disparità economica non basta, se l’altro coniuge è in grado di lavorare
La Corte chiarisce che la semplice esistenza di una disparità reddituale tra i coniugi non giustifica automaticamente l’erogazione dell’assegno. Il criterio della sproporzione economica deve essere letto in combinazione con altri fattori, come la durata del matrimonio, la presenza o meno di figli a carico, l’età del richiedente e la possibilità concreta di inserirsi nel mercato del lavoro. In assenza di tali elementi, il mantenimento può essere escluso anche se l’altro coniuge dispone di risorse maggiori.
Esempio pratico: una separazione dopo un matrimonio di breve durata (quattro anni) senza figli e con una parte in grado di lavorare, non giustifica l’attribuzione automatica dell’assegno.
Chi chiede l’assegno deve fornire prove puntuali
Il diritto all’assegno post-separazione è soggetto alla regola generale dell’art. 2697 c.c.: onus probandi incumbit ei qui dicit. Spetta a chi chiede il mantenimento dimostrare non solo la propria condizione economica, ma anche l’impossibilità – oggettiva – di ottenere un lavoro compatibile con le proprie competenze. La Corte ha chiarito che la generica dichiarazione di difficoltà non è sufficiente: servono documenti, tentativi di colloqui, percorsi formativi avviati, domande di assunzione rifiutate per cause non imputabili al richiedente.
Esempio pratico: allegare un curriculum non aggiornato o l’assenza di iscrizione ai centri per l’impiego può compromettere l’esito della domanda di mantenimento.
La solidarietà post-coniugale ha limiti precisi
L’ordinanza afferma con chiarezza che la solidarietà tra ex coniugi non è illimitata. Essa si giustifica solo quando la condizione di bisogno deriva da una situazione non colpevole e non reversibile. La funzione dell’assegno è, infatti, quella di riequilibrare una disparità che il matrimonio ha consolidato, non quella di mantenere un vincolo economico perpetuo. In questo senso, il giudice ha ritenuto che la condizione di inoccupazione dell’ex coniuge fosse in parte autoindotta, per inattività colposa e mancanza di iniziativa.
Esempio pratico: il coniuge che, pur potendo lavorare, sceglie volontariamente di non farlo o non giustifica l’inerzia, non può aspettarsi che l’ex partner sostenga economicamente tale scelta.
L’ordinanza n. 3354/2025 chiarisce che il diritto all’assegno di mantenimento non può fondarsi su una semplice situazione di disagio, ma su un quadro oggettivo di impossibilità a raggiungere l’autosufficienza economica, non imputabile alla volontà o alla negligenza del richiedente. La valutazione del giudice si fonda su criteri di equità, ma anche di rigore probatorio e responsabilità personale.
Per chi affronta una separazione, è essenziale valutare con attenzione la propria posizione giuridica, raccogliere documentazione utile e agire con consapevolezza, evitando richieste infondate o mal sostenute.
Lo studio resta a disposizione per fornire assistenza legale qualificata nelle procedure di separazione, con un approccio personalizzato, orientato alla prevenzione del contenzioso e alla tutela degli interessi di lungo periodo.