Nel panorama del diritto del lavoro, il licenziamento per giusta causa è sempre oggetto di valutazioni approfondite, soprattutto quando si basa su fatti accaduti nel passato ma scoperti solo successivamente. La sentenza Cass. Civ. n. 4227/2025 ha affrontato un caso emblematico, riguardante un lavoratore licenziato per il mancato recapito di migliaia di plichi postali, condotta risalente a un precedente rapporto di lavoro ma scoperta anni dopo, nel corso di un’indagine.
L’aspetto innovativo della decisione riguarda la possibilità di considerare fatti pregressi come legittima causa di licenziamento, anche quando il lavoratore ha successivamente instaurato un nuovo rapporto con lo stesso datore. Approfondiamo i punti salienti della sentenza e le loro conseguenze pratiche.

Il Tempo è un Fattore Decisivo? Il Caso del Licenziamento Ritardato
Uno degli aspetti cruciali della sentenza riguarda la distanza temporale tra la condotta contestata e il licenziamento. Il lavoratore, già dipendente di un’azienda di servizi postali, aveva occultato nel 2007-2008 circa 8.000 plichi postali, che sarebbero dovuti essere consegnati ai destinatari. Tuttavia, questa grave irregolarità è emersa solo nel 2015, a seguito di una perquisizione dei Carabinieri.
Nel frattempo, il lavoratore aveva cessato il primo rapporto di lavoro e ne aveva instaurato uno nuovo con lo stesso datore. Questo elemento ha portato la difesa a sostenere che il licenziamento fosse illegittimo, poiché riferito a un comportamento verificatosi prima dell’attuale impiego.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha confermato la validità del recesso, sottolineando che, anche se il fatto era avvenuto in un rapporto di lavoro precedente, la sua scoperta tardiva era sufficiente a giustificare il licenziamento, dal momento che la condotta dimostrava una
La sottrazione della corrispondenza: quando un errore diventa una giusta causa
Il licenziamento è stato motivato dal ritrovamento, in un locale riconducibile al lavoratore, di una quantità significativa di corrispondenza mai consegnata. La Cassazione ha chiarito che tale condotta non rappresentava un semplice inadempimento lavorativo, bensì una “totale negazione della prestazione affidata”, trattandosi di un comportamento intenzionale e prolungato nel tempo.
Ciò che ha pesato nella decisione è stata l’incidenza diretta della violazione sulla credibilità dell’azienda, che eroga un servizio pubblico essenziale.
Il ruolo dello stato di salute del lavoratore
Il lavoratore ha cercato di giustificare il proprio operato sostenendo di aver attraversato un periodo di difficoltà personali e di aver sviluppato una sindrome depressiva. Tuttavia, la Cassazione ha precisato che la sola esistenza di problematiche personali non può automaticamente escludere la gravità della condotta, a meno che non si provi una reale incapacità di intendere e di volere al momento dei fatti.
In altre parole, il lavoratore avrebbe dovuto attivare gli strumenti previsti dal contratto per gestire il proprio disagio – come assenze per malattia o richieste di supporto – piuttosto che sottrarre la posta e occultarla.
Ad esempio se un impiegato bancario, in un periodo di stress, commette gravi errori nei pagamenti dei clienti. Se questi errori sono involontari e riconducibili a problemi di salute certificati, il licenziamento potrebbe essere illegittimo. Se, invece, la condotta è dolosa e reiterata, la responsabilità rimane in capo al lavoratore.
Proporzionalità della sanzione: il licenziamento era troppo severo?
Un altro punto chiave della difesa era la sproporzione tra il comportamento contestato e la sanzione applicata. Il lavoratore sosteneva che, secondo il contratto collettivo, l’illecito avrebbe potuto essere punito con misure meno drastiche, come una sospensione o una multa.
La Cassazione ha respinto questa tesi, precisando che il dolo, nel diritto civile, si intende come comportamento volontario e consapevole, e che la sottrazione e l’occultamento della posta non potevano essere considerate semplici errori o negligenze.
Quali Lezioni Possiamo Trarre da Questa Sentenza?
Questa pronuncia della Cassazione offre spunti di riflessione importanti per lavoratori e datori di lavoro.
- Per i lavoratori, dimostra che comportamenti passati, anche se non immediatamente scoperti, possono avere conseguenze sul rapporto di lavoro, soprattutto se incompatibili con le mansioni affidate. L’onestà e la correttezza professionale restano requisiti fondamentali per la continuità lavorativa.
- Per le aziende, evidenzia la possibilità di licenziare un dipendente per fatti pregressi, a patto che la loro scoperta avvenga successivamente e che siano tali da minare il rapporto di fiducia. Tuttavia, è fondamentale valutare con attenzione il contesto e le tutele previste dal contratto collettivo.
Questa sentenza conferma inoltre l’importanza della fiducia nel rapporto di lavoro. In mansioni di particolare responsabilità, un comportamento illecito non può essere tollerato, anche se risalente nel tempo.