Oggi è normale condividere contenuti personali su Facebook, Instagram o TikTok. Ma cosa succede se il datore di lavoro legge quei post? E se un commento o una foto pubblicata sui social diventa motivo di contestazione disciplinare o addirittura di licenziamento?
Il confine tra vita privata e obblighi contrattuali si è fatto sempre più labile. Ed è qui che entrano in gioco le norme sulla privacy e la giurisprudenza più recente, anche in Campania.

Il controllo dei social da parte del datore è legale?
Sì, ma con limiti precisi. Secondo il Garante per la protezione dei dati personali, il datore può raccogliere informazioni pubblicamente accessibili sui social solo se strettamente necessarie per fini legittimi (es. tutela dell’immagine aziendale, verifica di comportamenti lesivi).
In particolare:
– Post pubblici visibili a tutti possono essere usati (es. insulti al datore o all’azienda);
– Messaggi privati o contenuti riservati non possono essere letti o utilizzati;
– L’uso di software di monitoraggio non autorizzato viola l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970) e il GDPR.
Quando un post sui social può portare al licenziamento?
Sono sempre più frequenti i casi di licenziamento per giusta causa legati a contenuti pubblicati sui social network. Alcuni esempi reali:
– Commenti offensivi verso l’azienda o i colleghi;
– Pubblicazione di foto in vacanza durante una malattia;
– Video con divulgazione di dati aziendali riservati;
– Attività “incompatibili” con la propria immagine professionale (es. influencer aziendali con contenuti volgari).
La Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento quando il post lede la fiducia nel lavoratore o l’immagine dell’azienda (Cass. civ. n. 10963/2022).
Il lavoratore ha diritto alla privacy… ma con responsabilità
Il diritto alla riservatezza è garantito dall’art. 8 dello Statuto dei Lavoratori e dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR). Tuttavia, il comportamento sui social può avere riflessi sul rapporto di lavoro se:
– viola il codice disciplinare aziendale;
– comporta diffamazione, denigrazione o concorrenza sleale;
– entra in conflitto con i doveri di correttezza e buona fede.
La privacy non è un’area franca. Pubblicare contenuti su profili visibili al pubblico equivale a rendere disponibili informazioni potenzialmente utilizzabili anche in sede legale.
Come può aiutare un avvocato specializzato in privacy e diritto del lavoro?
Il nostro studio assiste:
– lavoratori sanzionati o licenziati per uso dei social;
– aziende che desiderano redigere policy interne chiare e conformi al GDPR;
– clienti che vogliono sapere fin dove si può arrivare nella tutela della propria immagine, anche sui social.
Offriamo consulenza personalizzata, con tutela della privacy e dei diritti della persona anche in ambiente digitale.
FAQ – Domande frequenti
Possono spiarmi su WhatsApp o Messenger?
No. Le conversazioni private sono tutelate dal segreto delle comunicazioni. L’accesso senza consenso è illecito.
Il mio profilo è privato. Possono comunque contestarmi qualcosa?
Se il contenuto diventa pubblico (es. tramite screenshot), può essere usato, ma va valutato il contesto e la gravità.
L’azienda può inserire una policy sull’uso dei social?
Sì. È anzi consigliabile per tutelare sia i lavoratori sia il datore, ma deve essere trasparente e conforme al GDPR.
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